IL DIRITTO DEL LAVORO NELLA INTERPRETAZIONE DELLA CORTE DI GIUSTIZIA EUROPEA (Claudio Cattani)
In ogni ambito dell’applicazione del diritto,ed, in quel che ci interessa del diritto comunitario, viene in rilievo il criterio d’interpretazione adottato dal giudice.
In seno alla Corte di Giustizia Europea, in tutte le materie interessate, il criterio preferito è quello dello scopo (nel nostro Ordinamento,in base all’art.12 delle Disposizioni Preliminari al Codice Civile,è denominato:obiettivo-teleologico) perseguito dal legislatore.
E proprio nel diritto del lavoro tale criterio è stato, per la più parte, significativamente adottato dalla Corte Europea.
Infatti nella sentenza Corte CE,I Sezione, 04/10/2001, C-133/00, in merito alla Direttiva CE 93/104 (Regolamento dell’orario di lavoro) è stato sostenuto come, nell’attribuzione di significato ad una disposizione di legge occorra attenersi alla formulazione corrispondente ad una corretta interpretazione teleologica di tali articoli (nella fattispecie, indipendentemente dalla soluzione della questione principale,viene sancito che,qualora nell’interpretazione di leggi nazionali,alla luce dello scopo della direttiva, emerga un significato più ampio =nello specifico:il diritto del lavoratore alle ferie annuali retribuite=, possano essere applicate le norme nazionali in modo di dare effettività all’obiettivo più ampio della direttiva .
Occorre ricordare che:
A) la disciplina dell’interpretazione è valevole in tutti i settori dell’ordinamento giuridico (C.C.67/2931)
;B) l’interpretazione di clausole di accordi sindacali che siano assunte a contenuto di norme regolamentari di un ente pubblico deve obbedire ai precetti dell’art.12 citato (CdS, VI,80/12 ) ;
C) l’interpretazione delle disposizioni contenute nei D.P.R. con cui sono recepite ed emanate,ai sensi dell’art.6 L. 93/83 (l .quadro sul pubblico impiego),le norme risultanti dalla disciplina posta dagli accordi sindacali previsti dalla legge stessa è denunciabile in sede di legittimità ex art.360 , n.5 C.P.C. (CC.93/ 6152);
D) in tema di trattamento normativo ed economico del personale sanitario a rapporto convenzionale , i D.P.R. che recepiscono gli accordi collettivi ex art.48 L.883/78, hanno natura regolamentare onde il giudice di legittimità può conoscere , ex art.360 n.5 C.P.C. , gli allegati vizi di violazione e falsa applicazione di norme di diritto e può procedere direttamente all’interpretazione dei medesimi (C.C,2006/19511) ;
E) le antiche leggi non possono giovarsi della disciplina di nuovi istituti fondate su concezioni inserentesi in un contesto storico diverso (CC.72/98 );
F) con riguardo a sentenze della Corte Costituzionale dichiarative d’illegittimità di una norma , la necessità di riferirsi non solo al dispositivo ma anche alla motivazione , sussiste tutte le volte che solo quest’ultima permetta di delimitare , con precisione, ai fini di individuare l’oggetto della pronuncia , quali disposizioni debbano considerarsi caducate (CC.89/1850);
G) l’interpretazione dei principi di diritto fissati nella sentenza di cassazione con rinvio , specie ove non siano stati espressamente enunciati,ma debbano essere enucleati dall’intero corpo della decisione , non può avvenire mediante estensione dei criteri ermeneutici ex art.12 citato,visto che i presupposti per l’applicazione di detti criteri vanno individuati nella astrattezza e generalità del comando normativo e nel riferimento a tutte le fonti del diritto , di cui all’art.1 disp . prelim . , ma deve aver luogo attraverso i criteri interpretativi ex art.1362 c.c., come è richiesto dalle stretta circolarità tra fatto e principio di diritto destinato a regolarlo,dalla limitazione dell’efficacia del suddetto principio alla singola controversia e dalla ridotta rilevanza del canone letterale di interpretazione nei frequenti casi in cui sia necessario procedere ad una interpretazione logico-sistematica della decisione , riferita all’intera motivazione . Ne consegue che il ricorrente , il quale lamenti in sede di legittimità una errata interpretazione della S.C. , da parte del giudice del rinvio, ha l’onere di specificare i canoni ermeneutici violati in riferimento alle parti della motivazione censurate,nonchè di indicare le forme in cui si è manifestata la violazione denunziata,altrimenti risolvendosi la censura nella mera contrapposizione di una interpretazione diversa da quella propria del giudice del rinvio (CC.2005/3352 , conf. CC.2004/07 , contra CC . 2004/17564 )
;H) le circolari ministeriali sono atti interni della P.A. destinate a regolare l’attività degli organi inferiori,ma non hanno alcuna efficacia giuridica nei confronti dei soggetti estranei,neppure ai fini dell’interpretazione delle norme (CC .73/54) ;I) la prassi seguita dalla P.A. nell’interpretazione di propri regolamenti non ne costituisce valido canone ermeneutico (CC .75/4231 );
L) i codici deontologici predisposti da ordini o collegi professionali, se non recepite direttamente dal legislatore, non hanno nè la natura nè le caratteristiche di norme di legge, come tali assoggettabili ai criteri ex art.12 citato, essendo espressione di poteri di autorganizzazione di ordini e collegi, perciò la loro interpretazione segue il prefato art.1362 c.c. ,per cui è sindacabile ex art.360 n.3 C.P.C. la violazione o falsa applicazione dei suddetti canoni ed ex art.360 n.5, il vizio di motivazione , che , però , non pertiene il caso in cui vogliasi far prevalere sulla logica e coerente interpretazione seguita nel giudizio di merito una diversa opzione ermeneutica patrocinata dalla parte ricorrente (CC . SU , 2003/ 10842 ) .
Riguardo al diritto comunitario :
-esso, indipendentemente dalle norme ,emanate dagli Stati membri, nello stesso modo in cui impone ai singoli degli obblighi ,attribuisce loro dei diritti soggettivi , tali non solo perchè il Trattato espressamente li menziona ma, anche , quale contropartita di precisi obblighi che il Trattato impone agli Stati Membri (CGCE -05/02/1963, causa 26/92) ;
-lo spirito e i termini del Trattato hanno per corollario l’impossibilità per gli Stati membri di far prevalere contro un ordinamento giuridico se accettato a condizioni di reciprocità un provvedimento unilaterale ulteriore il quale , peraltro, non è opponibile all’ordinamento stesso (CGCE 15/07/1964, causa 6/64 ) .
Ordinamento comunitario e Ordinamento statuale sono sistemi giuridici distinti ed autonomi , ancorchè coordinati tra loro secondo le ripartizioni stabilite e garantite dal Trattato . Tale rapporto e la sottostante limitazione della sovranità statale fanno sì che l’ordinamento italiano consenta che i regolamenti comunitari spieghino effetti in quanto tali e perchè tali nel territorio nazionale , ossia che venga riconosciuta a tali atti l’efficacia di cui sono provvisti nell’ordinamento di origine (C.COST.84/170);
nei casi in cui le autorità comunitarie abbiamo , mediante direttiva, obbligato gli stati membri ad adottare un determinato comportamento, la portata dell’atto sarebbe ristretta se i singoli non potessero far valere in giudizio la loro efficacia e se i giudici nazionali non potessero prenderlo in considerazione come norma di diritto comunitario: è quindi opportuno esaminare , caso per caso , se la natura , lo spirito e la lettera della disposizione di cui trattasi permettano di riconoscerle efficacia immediata nei rapporti tra Stati membri e singoli (CGCE 04/12/1974 , causa 41/74), essendo detta direttiva priva di efficacia nei rapporti tra privati (cd. effetti orizzontali ) , qualora manchi lo strumento di attuazione dello Stato,potendo in tal caso essere invocare nei confronti dello Stato stesso efficacia cd. verticale ) così come precisato dalla Corte di Giustizia CE (95/2275, conf CGCE 26/2/1986, causa 152/84) ;
nei rapporti tra diritto comunitario e diritto interno la Corte Costituzionale giudica sia della l. di esecuzione del Trattato( in riferimento ai principi fondamentali del nostro ordinamento e ai diritti inalienabili dell’uomo ) sia delle leggi nazionali ( che si assumano così illegittime in quanto dirette ad impedire l’osservanza dei principii fondamentali del Trattato:C . COST . 84/17,conf. C.COST. 73/183, 88/11146, CC.2000/190 , ove si precisa che il giudice nazionale nell’interpretare una norma di diritto interno deve privilegiare,tra le diverse interpretazioni possibili, quella conforme alla normativa comunitaria , per evitare che lo Stato italiano si ritrovi inadempiente agli obblighi comunitari) ;
-nel caso in cui la questione di costituzionalità di una disposizione di legge sia fondata su un problema di interpretazione di una norma comunitaria , è necessario che il contenuto della norma in parola sia definito secondo le regole dettate dall’ordinamento comunitario attraverso il necessario previo invio, da parte del giudice rimettente, alla Corte di giustizia CE (C.COST.96/319 , conf. , 2002/85 , 98/109 , 98/108 ) ;
-vanno restituite al giudice remittente gli atti relativi alla questione sollevata in quanto viene allegata a presupposto della censura di costituzionalità una norma sulla cui effettiva portata mancano precedenti puntuali , perchè esso giudice adisca la Corte di giustizia della Comunità europea- alla quale sola è demandata l’interpretazione con forza vincolante per tutti gli Stati membri di quella normativa- affinchè individui in modo compiuto e definitivo,e con carattere di certezza ed affidabilità,il contenuto delle norme espresse dalle disposizioni comunitarie Alla Corte Costituzionale infatti- ferma la possibilità del controllo per violazione di principii fondamentali e dei diritti inviolabili della persona- non compete fornire interpretazione della normativa comunitaria che non risulti di per sè di “ chiara evidenza” nè di adire il giudice comunitario non potendosi assimilare alla “ giurisdizione nazionale” cui si riferisce l’art.177 del Trattato istitutivo della CEE, il giudice delle leggi che in funzione di suprema garanzia della Repubblica , non è incluso tra gli organi giudiziari, ordinari o speciali che siano ) C.COST.,95/536 ;
-il principio affermato dalla Corte Costituzionale (C.COST.84/170),secondo cui l’eventuale conflitto tra norme comunitarie e norme nazionali , sia anteriori che successive , deve essere risolto dal giudice nazionale non promuovendo giudizio di legittimità costituzionale, ma disapplicando quest’ultime, tutte le volte che la normativa comunitaria soddisfi il requisito dell’immediata applicabilità ,vale non solo per la disciplina prodotta dagli organi comunitari mediante regolamenti, ma anche per le statuizioni risultanti da sentenze interpretative della Corte di giustizia delle Comunità europee (C.COST . 85/113) e per ogni altra sentenza del giudice comunitario,la quale , nell’applicare od interpretare una norma comunitaria, dotata di effetti diretti,risulti comunque dichiarativa del diritto comunitario (C.COST., 89/389, 91/168 , ove di parla di “ disapplicazione “ e di “ non applicazione” della norma interna contrastante con una normativa comunitaria “self executing “ ,ed inoltre C.COST., 95/249 , ove si distingue tra “ abrogazione “ e “ non applicazione “ (CC .99/189/Cc.85/113 ) .
Va sottolineato come , solo i casi di indicazione di entità individuali ,ovvero di numeri , ossia i casi in cui emerge , dal senso letterale , un risultato preciso ed univoco, dispensino il Giudicante dall’operazione interpretativa, proprio perchè le norme ,anche quando assumono un preciso significato, non necessariamente compaiono con la stessa valenza (T.A.R. SARDEGNA , 1994/1058 ) .
Lo Scrivente aderisce a quella, strutturata su quello obiettivo-teleologico: la determinazione del contenuto della norma si connette , in definitiva , al fine che si può ritenere , il legislatore , impersonalmente , e , non , storicamente inteso , voglia perseguire con essa , e , più ampiamente , si deve , pur , guardare al complesso dei fini perseguiti dall’insieme delle leggi ( C . COST. , 1984/26 , CC . 1996/3495 , Corte dei Conti Sez . Contr . , 1996/145 ) . In tale operazione si deve tener presente che la rappresentazione del fine della singola legge o dei fini dell’insieme delle leggi , può , appunto , in concreto , non essere stato presente alla mente del legislatore , storicamente inteso : bisogna , quindi , fare riferimento agli scopi che , ragionevolmente , alla stregua dei valori espressi dalla legge e dall’ordinamento nel suo insieme in quel determinato momento storico ( ossia quello in cui viene condotta l’operazione interpretativa ) , si debbano intendere perseguibili e perseguiti.
In tale operazione si deve tener presente che la rappresentazione del fine della singola legge o dei fini dell’insieme delle leggi, può , appunto , in concreto , non essere stato presente alla mente del legislatore , storicamente inteso : bisogna , quindi , fare riferimento agli scopi che , ragionevolmente , alla stregua dei valori espressi dalla legge e dall’ordinamento nel suo insieme in quel determinato momento storico ( ossia quello in cui viene condotta l’operazione interpretativa ) si debbano intendere perseguibili e perseguiti .
Il criterio del riferimento allo scopo perseguito dal legislatore viene dunque a coincidere con i criteri più propriamente oggi definiti come obiettivo-teleologici , per tali intendendosi , appunto , il riferimento al senso immanente a determinati settori o istituti dell’ordinamento giuridico o all’ordinamento giuridico in generale , venendo in rilievo i principi fondamentali dell’ordinamento ed in particolare quelli di rango costituzionale , i principii etico-giuridici in genere (C.COST.98/140, T.A.R. PUGLIA SEZ. LECCE , 1992/461) , ricordando il valore che si traduce nell’obbligo di valutare in modo uguale le situazioni equivalenti , e , quello per cui , se tra più significati possibili uno solo è conforme ai principii costituzionali, a questo va data la preferenza (CdS, VI , 1992/849, Corte dei Conti Sez. Contr. 1995/60 , T.A.R. SARDEGNA 1994/1755) .
La possibilità di pervenire ad una siffatta pronuncia promana dal dato irrefutabile, per cui il Giudicante è autorizzato a tanto provvedere , quando , in assenza del “ diritto vivente “ , seguendo l’invito della Consulta (C. COST., sentt. 322-338/2001) , trovi una soluzione mediante un’interpretazione adeguatrice , purchè non implausibile (C.COST., sentt. N. 375/2002 e 64/2003) .
La riprova del pregio di siffatta interpretazione , in chiave di giurisprudenza comunitaria , traggasi dalla sentenza Corte Giustizia 9 gennaio 2003, causa C-257/00 , Nani Givane e al. In merito al problema se , nella controversia in tema di permesso di soggiorno, la Signora Givane e i suoi tre figli potessero invocare il regolamento n.1251/70 a fondamento della loro richiesta di un permesso di soggiorno; tale regolamento definisce le condizioni alle quali un lavoratore e i membri della sua famiglia possono rimanere a condizione :
- che il lavoratore , al momento del decesso, abbia risieduto ininterrottamente nel territorio di tale Stato membro da almeno due anni;
- oppure che il decesso sia dovuto ad infortunio sul lavoro o a malattia professionale ; -oppure che il coniuge superstite sia cittadino dello Stato di residenza o abbia perduto la cittadinanza di tale Stato in seguito al matrimonio col detto lavoratore” .
L’equivoco nasceva dal significato letterale attribuito da ciascuna lingua alla locuzione “ da almeno due anni”
Nella versione francese “ depuis au moins 2 années “
In quella tedesca “ seit mindestens 2 Jahren “
In quella italiana:” da almeno due anni”,
vale a dire nella maggioranza delle versioni linguistiche esistenti alla data dell’emanazione del regolamento stesso , implica che il periodo di residenza ininterrotta di due anni debba proseguire sino alla data del decesso del lavoratore;
il tenore di altre versioni linguistiche di tale disposizione è più vago:
in quella spagnola “ un minimos de dos anos “
in quella danese :” i mindst 2 aar “
in quella greca “ epì duo toulaxiston ete “
in quella inglese:” for at least two years”
in quella olandese :” gedurende ten minste 2 jaren”
in quella portoghese :“ pelo menos 2 anos”
in quella finlandese:” vahintaan kaksi vuotta “
in quella svedese:” undrer minst tva ar “ , appaiono piuttosto neutre quanto al nesso cronologico tra la residenza ininterrotta di due anni e la data del decesso del lavoratore.
Perciò la Corte europea con sentenza 2 aprile 1998, causa C-296/95 , EMU Tabac e a. Racc. , p.I-1605, ha affermato che a tutte le versioni linguistiche , in via di principio , va riconosciuto lo stesso valore , che non può variare in rapporto al numero dei cittadini degli Stati membri in cui è parlata una certa lingua ,
per tale motivo (sentt. 27 ottobre 1977, causa 30/77, Boucherau , Racc. p.1999, punto 14-; 7 dicembre 1995,causa C-449/93,Rochfon, Racc.p.I-4291, punto 28; 17 dicembre 1998, causa C-236/97, Codan , Racc. p.I-8679, punto 28 , e 13 aprile 2000, causa C-420/98, W.N. , Racc. p.I-2847, punto 21) , è stato affermato che le varie versioni linguistiche di una disposizione comunitaria vanno interpretate in modo uniforme, e,pertanto, in caso di divergenza tra le versioni stesse , la disposizione in parola dev’essere interpretata in funzione dell’economia generale e delle finalità della normativa di cui essa fa parte , per cui la locuzione “ da almeno due anni” , deve essere ricollocata nel suo contesto ed interpretata in funzione della “ ratio” e delle finalità della disposizione di cui trattasi, comparandola con l’art.3 del regolamento n.1251/70 in assonanza con il successivo art.4,n.1 : perciò l’interpretazione corretta è che il periodo di due anni:
§ deve essere immediatamente precedente il decesso del lavoratore, in base all’economia generale dell’art.3 perché diversamente se tale periodo potesse cessare in un qualsiasi momento del lasso di tempo trascorso dal lavoratore nello Stato membro ospitante, sarebbe superfluo operare una siffatta connessione con il detto momento;
§§ deve essere ininterrotto
§§§ è compatibile con gli obiettivi dell’art.48 del Trattato CE.
Il criterio dello scopo della norma è stato, altresì , applicato :
altro esempio è a trarsi da Causa 9/79, sentenza della Corte ( prima sezione) del 12 luglio 1979, Mariannne Koschniske in Woersdorfer contro Raad vam Arbeid = domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Raad van Berope di Zwolle-Paesi Bassi= : la controversia verteva sull’interpretazione dell’art.10,n.1,lett.b) del Regolamento del Consiglio del 21 marzo 1972,n.574 (GU 74,pag.1), che stabiliva le modalità di attuazione del Regolamento n.1408/71 relativo all’applicazione dei regimi di previdenza sociale ai lavoratori subordinati e ai loro familiari che si spostano all’interno della Comunità , poi modificato dai Regolamenti del Consiglio nn.878/73 (GU 1973/mn.L86 , pag.1 e 1209/76 , GU 1976,n. L138,pag.1 . In particolare la versione olandese della disposizione in questione parlava di “ moglie” , piuttosto che di “ coniuge” , così come facevano tutte le altre versioni linguistiche del medesimo Regolamento . Se si fosse considerata la sola versione olandese,si sarebbe potuto credere che il termine impiegato si riferisse solo in via esclusiva ad una persona di esso femminile. Tuttavia , data la necessità che i Regolamenti comunitari vengano interpretati in modo uniforme , la Corte ribadì che il testo della disposizione non potesse essere considerato isolatamente , bensì interpretato ed applicato alla luce dei testi redatti nelle altre lingue ufficiali, da cui risulta che impiegano tutte termini che si riferiscono tanto ai lavoratori che alle lavoratrici “ aegtefaellen” , “ ehegatte” , “ spouse” , “ conjoint” “ coniuge”; solo in un secondo tempo la Corte si interrogava se tale interpretazione potesse essere suffragata alla luce dello scopo della disposizione e del principio della parità di trattamento tra lavoratori di sesso maschile e lavoratori di sesso femminile.